La Space Economy. Il covid-19 e la parabola di OneWeb
La pandemia travolge l’azienda e il suo ambizio progetto di rete satellare.
Forse la space economy mostra in anticipo un po’ tutti i paradigmi di cosa sarà e cosa dovremo attenderci anche in aree “previlegiate” come quelle dei settori in espansione ad alto contenuto tecnologico, una volta cessata l’emergenza del contagio.
OneWeb, l’impresa inglese nata allo scopo di fornire – in particolar modo alle realtà più disagiate sparse per il mondo, ma non solo – una rete satellitare per la trasmissione di internet dallo spazio, ha portato pochi giorni fa i libri in tribunale in Usa, dove ha la sede operativa e gli stabilimenti. In un proprio comunicato del 27 marzo scorso ha annunciato la decisione, chiarendo di voler utilizzare questa strada per procedere alla vendita delle sue attività al fine di massimizzare il valore della società e consentire la prosecuzione delle attività di mantenimento dei moduli del progetto già operanti.
Il progetto risale al 2015. La società nasce con lo scopo di realizzare una costellazione di satelliti in orbita terrestre bassa con una rete di stazioni gateway globali e una gamma di terminali utente per fornire un servizio di comunicazione economico, veloce, ad alta larghezza di banda e bassa latenza per aziende e governi di tutto il mondo. La sua rete di comunicazione globale, come dichiarato dalla società, una volta completata sarà in grado di fornire soluzioni avanzate di comunicazione non solo ad aree geografiche non ancora fornite di infrastrutture adeguate (i.e. Africa, Asia, etc..) ma anche ai diversi settori economici che maggiormente si affidano alla connettività globale, come il trasporto aereo, marittimo, automobilistico e altro ancora. E questo operando secondo pratiche (spaziali) responsabili in considerazione del fatto che lo spazio è una risorsa naturale condivisa che, se utilizzata in modo responsabile, può aiutare a trasformare il modo di vivere e lavorare. Ad oggi sono già stati messi in orbita oltre 70 satelliti (74 per la precisione), su un totale di 650 previsti, ad una quota di 1200 chilometri.
Secondo Adrian Steckel, CEO di OneWeb, la società, che dall’inizio dell’anno era già alla ricerca di nuovi finanziamenti/finanziatori, per coprire costi rivelatisi maggiori del previsto e continuare nelle proprie attività, si è vista travolta dall’impatto finanziario e dalle turbolenze di mercato legate alla diffusione del contagio del COVID-19: “La nostra situazione attuale è una conseguenza dell’impatto economico della crisi COVID-19. Rimaniamo convinti del valore sociale ed economico della nostra missione di connettere tutti ovunque. Oggi è un giorno difficile per noi di OneWeb. Tante persone hanno dedicato così tanta energia, impegno e passione a questa azienda e alla nostra missione. La nostra speranza è che questo processo ci consenta di tracciare un percorso che porti al completamento della nostra missione, basandoci sugli anni di sforzi e sui miliardi di capitale investito. È con un cuore molto pesante che siamo stati costretti a ridurre la nostra forza lavoro e ad entrare nel processo del Capitolo 11 (l’amministrazione giudiziaria, ndr) mentre i restanti dipendenti della Società sono concentrati sulla gestione responsabile della nostra nascente costellazione e sul lavoro con la Corte e gli investitori”.
Certamente nella crisi di OneWeb hanno giocato la sospensione delle attività per la pandemia e le successive incerte prospettive generali legate alla ripresa, ma molto probabilmente, pensiamo, maggior peso ha avuto la crescita drammatica dei costi complessivi del programma in rapporto alla concorrenza del progetto Starlink di SpaceX. Certamente la società di Elon Musk gode di forme ben ragguardevoli di finanziamento, ma anche il suo progetto sembra avere maggior consistenza tecnica di quello OneWeb (basti pensare al solo numero di satelliti previsto: 12000 per lo starlink, 650 per OneWeb).
Quali saranno le conseguenze di questo fallimento è ancora presto per conoscerle in dettaglio. Almeno per i grossi investitori industriali (i.e. Airbus) il default assume una dimensione rilevante, data la crisi pesantissima, legata al crollo del trasporto aereo, che attraversano. Ed è certo che importanti ripercussioni ricadranno in buona misura anche sulle Aziende Italiane coinvolte nel progetto, p.e. Avio e molte pmi che partecipano al programma Ariane, il lanciatore utilizzato dalla compagnia. In aggiunta sarà da capire anche quale influenza avrà sui vari attori in gioco, a livello economico, il fatto che un’azienda tecnologicamente ed economicamente importante nata in un contesto economico (i.e. UK in U.E.) muore in un altro completamente diverso (UK fuori dalla U.E.).
Il comparto della space economy in ambito EU, comunque, non dovrebbe essere toccato significativamente dalla crisi che seguirà la pandemia se non in conseguenza di fattori non legati alle attività industriali peculiari del settore. Gli attuali rallentamenti/sospensioni delle attività legate alla necessità di distanziamento sociale, una volta superato il momento e introdotti i necessari correttivi per assicurare la sicurezza sanitaria sul lavoro, potranno essere recuperati gradatamente nel tempo. I programmi spaziali, ed i relativi finanziamenti, sono originati in larga parte dai budget nazionali e internazionali di ricerca e sviluppo; a livello europeo sono ormai definiti i prossimi impegni pluriennali, cosi come a livello nazionale, a meno di storni governativi delle risorse su altre voci di spesa, ipotesi abbastanza improbabile per la strategicità del settore. Per non tener conto dell’impulso che l’attuale utilizzo massivo dei sistemi di comunicazione darà alla realizzazione di nuove soluzioni (giusto per ritornare al discorso delle reti satellitari). E non si può trascurare il fatto che tante attività industriali del comparto, ritenute strategiche, sono potute continuare, nonostante il fermo produttivo della quarantena.
Anche la modifica delle modalità di lavoro (i.e. lo smart working applicato a una larga fascia di attività di staff e ricerca/progettazione) operata di necessità per assicurare la continuità delle attività, ove possibile, avrà un ruolo significativo nel recupero dei ritmi di lavoro ordinari e, sorpresa, sull’efficienza/efficacia dei processi produttivi. Molto probabilmente quest’ultimo sarà uno dei principali elementi d’innovazione dei processi che rivoluzioneranno le attuali organizzazioni produttive.
Problemi, quindi, potranno nascere per cause più specificamente di cassa, finanziarie, o di situazioni patrimoniali delle aziende ante crisi già pesanti. Ed su questo che il Sistema Italia dovrà misurarsi, in particolar modo il vasto mondo delle pmi. La struttura delle imprese, ed in particolar modo le piccole (start up incluse), è da sempre connotata da una fragilità di fondo che le rende attaccabili anche da minime perturbazioni. Occorre, quindi, consolidare il contesto economico della “fase 2”, fornendo loro in maniera mirata e controllata attraverso strumenti dedicati (p. es. il Fondo Primo Space, di cui si parla molto in questi giorni) mezzi economici e prospettive di crescita adeguati, per consentire una rapida ripresa del lavoro in un quadro strategicamente delineato di innovazione e potenziamento delle proprie capacità produttive, soprattutto in termini di competenze (…formazione, ricerca…), vero patrimonio di ogni sistema socio/economico.
L’alternativa, in un contesto caotico e farraginoso come si prospetta essere la fase di riavvio post quarantena, con la politica ripiegata su se stessa a salvaguardare la propria sopravvivenza e incapace di fornire alla società civile valide prospettive di lungo periodo, è la perdita netta di competenze e capacità produttive di alto livello ed un ulteriore e probabilmente irrecuperabile impoverimento economico e sociale rispetto alle altre grandi società avanzate. Un allarme che cerchiamo di lanciare da tempi non sospetti.