“Dealing with Space Debris: Challenge and Solutions”
Seminario: Metodologie e sistemi di controllo e recupero oggetti e rifiuti nello spazio
CANALE VIDEO (Servizi e Interviste Video)
Napoli 19 Ottobre 2023
Biblioteca Storica
Scuola Politecnica e delle Scienze di Base – P. le Tecchio
All Photos Source: ESA Web site
Quando fu lanciato il primo satellite artificiale, lo Sputnik 1, nel lontano 4 ottobre 1957, quasi tutti pensarono che si aprissero notevoli possibilità di miglioramento della nostra vita quotidiana e nuove opportunità di crescita per l’umanità.
Ed infatti, i satelliti artificiali sono ormai divenuti indispensabili in praticamente tutte o quasi le principali attività umane. Dalle telecomunicazioni alla meteorologia, dalla navigazione all’osservazione della terra, dall’astrofisica alla ricerca scientifica, allo studio dell’influenza dell’antropizzazione sul clima e l’ambiente. E le prospettive, con l’avanzare degli anni si aprono sempre più a nuove applicazioni e opportunità economiche.
In questi quasi 70 anni, ci si è massimamente concentrati nello sviluppo ed utilizzo di questi preziosi strumenti, trascurando, forse perché non si era in grado di prevederne le reali dimensioni, le implicazioni legate alla fase di fine vite dei sistemi in orbita.
Ci si è trovati cosi, con l’incremento delle attività spaziali (più di 6050 lanci che si sono tradotti in 56450 oggetti tracciati in orbita di cui circa 28160 ad oggi ancora nello spazio regolarmente tracciati– Fonte web site ESA), a dover affrontare un nuovo (imprevisto) rischio: i detriti spaziali, dovuti essenzialmente ad esplosioni o collisioni in orbita (1).
Nei cataloghi dei centri di ricerca che si occupano del monitoraggio e la tracciatura degli oggetti spaziali che circondano la terra (US Space Surveillance Network) sono presenti oggetti dalle dimensioni che vanno da circa 5-10cm, situati in orbite basse (LEO – Low Earth Orbit), a30 cm – 1mt a quote geostazionarie (GEO – Geostationary Earth Orbit) (2). Si stima che la massa totale di questi oggetti ammonti a più di 9300 tonnellate. Circa il 24% degli oggetti catalogati sono satelliti (meno di un terzo dei quali operativi), e circa l’11% sono stadi superiori e oggetti legati alla missione come adattatori di lancio e copriobiettivi.
Le concentrazioni massime di detriti possono essere notate ad altitudini di 800-1000 km e vicino a 1400 km. Le densità spaziali in orbite geostazionarie e vicino alle orbite delle costellazioni di satelliti per la navigazione sono inferiori di due o tre ordini di grandezza.
Che fare?
Le criticità si sono rese più che mai evidenti negli ultimi anni, quando il numero di satelliti funzionanti presenti in orbita è passato da circa 4.000 a oltre il doppio: un incremento dovuto principalmente all’avvento delle grandi costellazioni di satelliti: “Starlink”, “Kuiper Systems”, “OneWeb”. Questi sistemi contano tra i 1.000 e i 2.000 satelliti a costellazione per fornire i propri servizi, come la connessione internet a banda larga o il monitoraggio della superficie terrestre.
Nelle condizioni attuali, con un numero di lanci per anno sopra il centinaio e considerando una decina di rotture annue, in linea con le medie storiche ad oggi, avremo entro pochi decenni un numero di collisioni superiore alle esplosioni, attualmente preponderanti. Succederà, in queste condizioni, che i frammenti delle collisioni si scontreranno con quelli delle esplosioni, che andranno a loro volta a collidere con quelli esistenti, in un processo never ending, creando nuovi detriti di dimensioni via via minori, fino a ridurre l’intera popolazione a dimensioni subcritiche. Questo processo, denominato “Sindrome di Kessler”, è particolarmente critico in particolare per la regione LEO e deve essere evitato.
Come fare?
E’ evidente che lo sforzo necessario per l’applicazione tempestiva di misure di mitigazione e riparazione non può che essere sostenuto su scala internazionale.
Lo spazio è territorio internazionale e le missioni spaziali, in gran parte ormai, vengono svolte in termini di cooperazione internazionale. Manca, al momento una normativa ufficialmente riconosciuta a livello internazionale. Esistono linee guida del Comitato internazionale delle agenzie spaziali e delle Nazioni Unite, ma, in quanto linee guida, non costituiscono obbligo per gli Stati. Per diventarlo, dovrebbero essere inserite all’interno delle leggi nazionali; solo poche nazioni hanno provveduto a farlo e non sembra che la sensibilità sul tema, vuoi per ragioni economiche che geopolitiche, sia così elevata da parte anche degli stati più “pesanti”. E’ quindi difficile che la gestione dei rifiuti spaziali possa essere gestita su base volontaria dalle singole nazioni.
Una possibile soluzione che, in prospettiva, può quantomeno evitare una eccessiva proliferazione dei detriti vaganti nell’etere è il considerare il trattamento di fine vita come parte integrante del progetto della missione, nel contesto delle attività legate all’intero Ciclo Vita del progetto (Rif. ESA – Mitigating space debris generation). Ciò comporterebbe la predisposizione di procedure per il recupero degli oggetti lanciati al termine della loro vita operativa. O, in alternativa, di disintegrazione in maniera controllata. Lungo questa direttrice si muovono attualmente le maggiori Agenzie Spaziali mondiali. L’ESA (e l’ASI), in particolare, promuove, verso i suoi partners politiche di “Design for demise” (Rif. ESA – CleanSat disposal essential for swelling satellite population) che vanno proprio in tale direzione. l’Ente Spaziale Europeo ha annunciato di recente la propria zero debris policy: l’obiettivo di eliminare la produzione di detriti spaziali nelle orbite importanti entro il 2030 (Rif. Space debris mitigation (esa.int).
Il Seminario del 19 ottobre scorso è stato, per quanto su illustrato, un momento importante di riflessione, innanzitutto sul piano della sostenibilità delle attività del settore; in primis: ricerca e sviluppo, esplorazione extraterreste, utilizzo economico dello spazio e relative implicazioni geopolitiche, etc…
L’obiettivo di una crescita equilibrata della società in un contesto di sostenibilità e conservazione dell’ambiente per le generazioni future non può prescindere anche da un modello profondamente diverso di impiego dei sistemi spaziali e di utilizzo delle tecnologie impiegate.
In questo senso lo scopo dell’incontro è stato pienamente raggiunto grazie agli interventi dei relatori, che hanno fornito ad una platea composta in grandissima parte da studenti molto attenti, un primo e ben strutturato quadro del problema dei rifiuti/detriti spaziali e di quanto si sta facendo per mitigare i rischi di una loro proliferazione incontrollata. Certamente il tema, per la sua importanza e l’interesse destato, sarà affrontato nei futuri appuntamenti di questo ciclo di seminari.
Di seguito alcuni appunti e riferimenti utili per approfondire l’argomento.
Per approfondire (Ref. ESA – About space debris)
(1) Le principali fonti di detriti
Secondo l’ESA, dal 1961 sono stati registrati più di 560 eventi di frammentazione in orbita. Solo 7 sono stati associati a collisioni mentre la maggior parte di quelli attuali ad esplosioni di veicoli spaziali e/o stadi superiori. E’ evidente che, stante il notevole incremento dei lanci, in futuro le collisioni diventeranno la fonte principale di detriti spaziali. Si presume che questi eventi di frammentazione abbiano generato una popolazione di oggetti più grandi di 1 cm, nell’ordine di 900.000.
La causa principale delle esplosioni in orbita è legata al carburante residuo che rimane nei serbatoi o nelle tubazioni del carburante, o ad altre fonti residue di energia, che rimangono a bordo una volta che uno stadio di un vettore o un satellite è stato rilasciato in orbita terrestre.
Nel corso del tempo, il difficile ambiente spaziale può ridurre l’integrità meccanica delle parti esterne ed interne, causando perdite e/o miscelazione dei componenti del carburante, che potrebbero innescare fenomeni di autoaccensione. L’esplosione risultante può distruggere l’oggetto producendo numerosi frammenti con un ampio spettro di masse e velocità impresse.
Oltre a tali rotture accidentali, nel recente passato hanno contribuito in modo determinante le intercettazioni satellitari da parte di missili lanciati in superficie. L’impegno cinese del FengYun-1C, per esempio, nel solo gennaio 2007 ha aumentato la popolazione di oggetti spaziali tracciabili del 25%.
Altre fonti di detriti/frammenti
La più importante fonte di detriti non frammentabili è consistita dalle più di 2460 accensioni di motori a razzo solidi, che hanno rilasciato ossido di alluminio (Al2O3) sotto forma di polvere di dimensioni micrometriche e particelle di scorie di dimensioni da mm a cm.
L’espulsione dei nuclei dei reattori Buk , terminate le operazioni dei satelliti radar da ricognizione oceanica russi negli anni ’80, è stata la seconda notevole fonte. In 16 di questi eventi di espulsione, numerose goccioline di liquido refrigerante del reattore (una lega di sodio e potassio a basso punto di fusione) furono rilasciate nello spazio.
Un’altra fonte storica fu il rilascio di sottili fili di rame come parte di un esperimento di comunicazione radio durante le missioni Midas negli anni ’60.
Infine, sotto l’influenza della radiazione ultravioletta estrema, l’impatto di ossigeno atomico e di microparticelle erode le superfici degli oggetti spaziali. Ciò porta alla perdita di massa dei rivestimenti superficiali e al distacco di scaglie di vernice con dimensioni dal micrometro al mm.
Le osservazioni con il telescopio dell’ESA da 1 m di diametro presso l’Osservatorio del Teide, Tenerife, Spagna, hanno rilevato una popolazione di oggetti con rapporti area-massa estremamente elevati. L’origine e la natura di questi oggetti non sono ancora del tutto comprese. È ormai opinione generale che questi oggetti siano stati creati nella regione GEO, probabilmente dal materiale di copertura termica dei satelliti eliminati.
(2) Distribuzione degli oggetti catalogati nello spazio
I satelliti lanciati in LEO sono continuamente esposti alle forze aerodinamiche provenienti dai tenui tratti superiori dell’atmosfera terrestre.
A seconda dell’altitudine, dopo alcune settimane, anni o addirittura secoli, questa resistenza decelera il satellite sufficientemente da permettergli di rientrare nell’atmosfera. Ad altitudini più elevate, sopra gli 800 km, la resistenza aerea diventa meno efficace e gli oggetti generalmente rimarranno in orbita per molti decenni.
A qualsiasi altitudine, la generazione di detriti attraverso le normali operazioni di lancio, rotture e altri eventi di rilascio è contrastata da meccanismi naturali di pulizia, come la resistenza dell’aria e l’attrazione gravitazionale luni-solare. Il risultato di questi effetti di bilanciamento è una concentrazione (densità spaziale) dipendente dall’altitudine e dalla latitudine di oggetti di detriti spaziali.
Le concentrazioni massime di detriti possono essere notate ad altitudini di 800-1000 km e vicino a 1400 km. Le densità spaziali in GEO e vicino alle orbite delle costellazioni di satelliti per la navigazione sono inferiori di due o tre ordini di grandezza.
L’attenzione è qui concentrata sui detriti di origine artificiale, in quanto il flusso sporadico proveniente da meteoroidi presenti in natura può prevalere su quello proveniente da oggetti detritici di fabbricazione umana solo per dimensioni prossime a 0,1-1 mm.
(3) Previsioni in condizioni di “business as usual”: crescita dei detriti
Con l’attuale tasso di lancio annuale di circa 110, e con le future rotture che continuano a verificarsi a un ritmo medio storico di 10-11 all’anno, il numero di oggetti detriti nello spazio aumenterà costantemente.
Come conseguenza dell’aumento del numero dei detriti, aumenterà progressivamente anche la probabilità di collisioni catastrofiche; raddoppiando il numero di oggetti il rischio di collisione aumenterà di circa quattro volte.
Man mano che la popolazione dei detriti cresce, si verificheranno più collisioni.
In uno scenario “business-as-usual”, entro pochi decenni tali collisioni inizieranno a prevalere sulle esplosioni attualmente dominanti. Alla fine, i frammenti di collisione entreranno in collisione con i frammenti di collisione, fino a ridurre l’intera popolazione a dimensioni subcritiche.
Questo processo autoalimentato, particolarmente critico per la regione LEO, è noto come “sindrome di Kessler” e deve essere evitato attraverso l’applicazione tempestiva di misure di mitigazione e riparazione su scala internazionale.
(4) Prima collisione in orbita
La prima collisione accidentale in orbita tra due satelliti è avvenuta alle 16:56 UTC del 10 febbraio 2009, a 776 km di altitudine sopra la Siberia. Un satellite per comunicazioni americano di proprietà privata, Iridium-33, e un satellite militare russo, Kosmos2251, si sono scontrati a 11,7 km/s.
Entrambi furono distrutti e furono generati più di 2300 frammenti rintracciabili, alcuni dei quali da allora sono rientrati (cioè sono decaduti e sono rientrati nell’atmosfera, dove sono bruciati).
Documentazione multimediale
Diverse fonti sull’argomento sono reperibili in rete. Lo stesso sito dell’ESA, nelle pagine richiamate nell’articolo, posta alcuni filmati divulgativi sulle tematiche esposte di sicuro interesse. Di seguito riportiamo i Link ad alcuni filmati ESA, Euronews e RAI che ben illustrano le attività connesse al trattamento dei detriti spaziali.
ERS-2 è stato lanciato nel 1995, quattro anni dopo ERS-1, il primo satellite europeo di telerilevamento. Nel 2011, la missione è stata conclusa e il veicolo spaziale è stato riorbitato in un’orbita di smaltimento sicura in conformità con le linee guida dell’ESA per la mitigazione dei detriti spaziali.
Bing Video, Filmato Euronews, 24/11/17 – T=0’ 0” – 6’ 27”
Bing Video, Filmato RAI, 5/10/22 – T=1’ 49” – Fine
https://www.youtube.com/watch?v=E6N7I07GcZE Filmato RAI Superquark 19/08/20
ESA – ESA’s Space Environment Report 2022 Time to Act